Dal giardino alla città

Sono Franco Zagari, architetto e paesaggista. Ci tenevo molto ad esserci anche io, qui con voi in occasione della decima edizione del Festival del Verde e del Paesaggio all’Auditorium di Roma Parco della Musica. È un’edizione del tutto particolare, che affronta i riti di segregazione dell’epidemia del Corona virus, una novità assoluta e imprevedibile, un lato oscuro di madre natura, con una sua intelligenza che ci è dichiaratamente ostile, rispetto al quale dobbiamo addirittura adattarci a una convivenza pro tempore, come se fosse un nostro partner. Ma cosa significa oggi, ai tempi della pandemia come avrebbe detto Marquez, ostinarci a voler parlare di giardini? Ma è sempre stato così. in tutti i momenti più drammatici della storia umana, il giardino è stato evocato come un tema di catarsi, come un luogo eletto di consapevolezza del patrimonio artistico e naturale e come un laboratorio di sperimentazione e di anticipazione del futuro.

Testimone di questa straordinaria utilità morale del giardino Il FESTIVAL è un sogno che si rinnova da dieci anni,  sempre uguale sempre diverso, ogni anno migliore del precedente, un appuntamento prezioso, fra i più importanti del settore. Si rivolge a un pubblico molto reattivo e raffinato che dai recinti dei balconi, dalle terrazze, dai giardini privati guarda con sempre maggiore interesse anche alla città. Per questo noi oggi parliamo di giardino, ma anche di paesaggio.

intendiamoci bene su questo termine, “paesaggio”:

i dizionari di maggiore prestigio definiscono il paesaggio con due significati principali:

  • Il primo è di origine pittorica e riguarda la Visibilità, una porzione di territorio considerata dal punto di vista prospettico o descrittivo, per lo più con un senso affettivo, al quale può più o meno associarsi anche un’esigenza di ordine artistico ed estetico;
  • Il secondo significato è dato in geografia, denota un Complesso di elementi caratteristici presenti in una determinata zona.

Questi valori così presentati sembrano voler ignorare la Storia dell’arte moderna, come se Picasso, Brancusi, Rosthko, Pollok non fossero mai esistiti, e più che mai ignorano l’arte contemporanea che è molto fertile proprio in visioni avanzate sull’armonia e sulla distonia del rapporto fra uomo e natura. Non conoscono Anish Kapoor, Anselm Kiefer, Wiliam Kentridge, Cai Go Kiang, Ai Weiwei e naturalmente ignorano tutte le scuole di progetto di paesaggio. Queste visioni alimentano dei luoghi comuni che svuotano il paesaggio di qualsiasi collocazione semiotica, antropologica, sociale, economica, in sostanza non ne colgono il significato di bene culturale e la sua essenza più profonda, che è eminentemente politica. Tutta la vicenda del patrimonio è deformata in un senso difensivo e conservatore, e ugualmente la vicenda della sostenibilità è tradotta meccanicamente in norme, pesi e misure, confusa con i temi della crisi ambientale e di conseguenza svuotata del suo contenuto critico. Ma paesaggio ha anche, e io direi soprattutto, una modalità di progetto, indica anche una tecnica e un’arte specifica, sia in senso soggettivo che oggettivo. “Fare paesaggio/il paesaggio”.

  • Ma questo terzo significato nei dizionari è dimenticato, non lo troverete. Ed è invece molto importante, perché trasferisce questa forza sofisticata insostituibile del giardino da istanze culturali, sociali e economiche, a istanze politiche: dal giardino, appunto, alla città.

Roma, patria eletta dell’arte dei giardini, sembra rassegnata a un silenzioso declino, ma questa forte spinta spontanea di cui il Festival è testimone, deve essere raccolta per trasferire nei quartieri decoro, arredo, materiali, forniture, per ripensare attività, flussi, comportamenti, criteri di orientamento, qualità di centralità.

Autore/iFranco ZagariEventoFvpv

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