Per secoli, i fiori di ciliegio hanno simboleggiato non solo il rinnovamento, ma l’evanescenza della vita e della bellezza nella cultura giapponese.

Il 15 e il 16 aprile il Museo Orto Botanico di Roma – in collaborazione con il Festival del Verde e del Paesaggio e l’Istituto Giapponese di Cultura a Roma – dedica un evento alla fioritura dei ciliegi del giardino giapponese.

Il delicato e sorprendente fiorire dei sakura 桜 (il cui kanji proviene dal carattere cinese che indicava yusura-ume ovvero «il ciliegio di Nanchino»), segna l’inizio di tutto: calendario scolastico e fiscale, inaugurarsi di nuove esperienze di vita. La loro bellezza e la subitanea decadenza, rappresenta per questo popolo la metafora della vita stessa.

HANAMI: significato

Hanami 花見 guardare i fiori è un termine giapponese che si riferisce alla tradizionale usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi, in particolare di quella dei ciliegi.

Questa tradizione, antica di più di un millennio, è ancora molto sentita in Giappone, tanto da provocare anche vere e proprie migrazioni di milioni di giapponesi dalle loro città verso le verso le sessanta località più famose del Paese per sapere esattamente quando comincia la fioritura e fino a quanto dura.

I sakura muovono la socialità del Giappone. Si stendono teli sotto i ciliegi, si prende posto anche una notte prima, si consumano sostanziosi picnic, i notiziari seguono di giorno in giorno l’evoluzione dei fiori, l’epopea meravigliosa e insieme tragica che simboleggia la vita, la bellezza intensissima e la fragilità dell’esistere umano. Basta un picco di caldo ad accelerarne lo schiudersi, un temporale a farne precipitare i petali a terra.

Lo spettacolo dei ciliegi in fiore occupa gran parte della primavera e si può ammirare da inizio aprile (nel sud dell’isola di Honshu) fino a metà maggio, nella settentrionale Hokkaidō.

Yoshino è considerata la città d’origine dei ciliegi giapponesi. Gli alberi, secondo la leggenda, furono piantati nel VII secolo d.C. dal sacerdote En-no- Ozuno, che si dice avesse scagliato una maledizione contro chiunque osasse abbatterli.

La storia

L’usanza di ammirare i fiori di ciliegio si attesta nella cultura imperiale di epoca Heian attorno al 10 e 11° secolo e diventa uno dei passatempi prediletti dall’aristocrazia di corte, attratta da Sakura. A poco a poco, nel corso dei secoli successivi, diventa patrimonio dell’intero popolo.

Durante il periodo Edo che va dal 1603 al 1868, periodo di massimo sviluppo della cultura popolare, la passione per il ritrovarsi sotto i ciliegi diventa una gioia da condivisa da tutti i giapponesi che iniziarono ad organizzare feste fiorite sotto questi alberi.

Ma le radici di questo rapporto ciliegio-uomo risalgono a molto più indietro, nel tempo in cui il mondo era ancora popolato da figure divine.

La mitologia

Secondo la mitologia giapponese infatti, Ninigi, nipote della dea del sole e inviato sulla terra per conquistarla, si innamora di una bellissima principessa, Sakuya-hime “principessa del fiore di ciliegio” e vuole sposarla.

La chiede dunque in moglie al padre, il dio della montagna, che offre al giovane anche l’altra figlia, la sorella maggiore Iwanaga-hime “principessa della roccia”, meno bella della più piccola ma capace di assicurare una progenie forte e duratura.  Niningi rifiuta, lui vuole solo Sakuya-Hime. Così il dio della montagna lancia una maledizione ai giovani sposi: la loro discendenza prospererà come i fiori di boccioli.

Questo mito – raccolto nel Kojiki ( “antichi eventi scritti”) il primo testo di narrativa giapponese compilato per volere imperiale nel 720 d.C. e giunto fino a noi – è importante perché racconta come umanità e fiori di ciliegio sono uniti nel destino da una condizione di fragile impermanenza.

Le pratiche agricole

L’ impermanenza, simboleggiata dal fiore di ciliegio, è un concetto fondamentalmente buddista.

Il buddhismo penetra in Giappone a metà del VI secolo. Nel Giappone avviene una sorta di connubio tra antiche pratiche locali legate all’agricoltura, una concezione arcaica del sacro e questa religione, già ben formalizzata e con una storia molto importante alle spalle.

Il mondo interiore e spirituale si confronta con la natura.

Come è possibile che una pianta da fiori diventi il punto di riferimento di un intero popolo?

In Giappone i ciliegi erano anticamente selvatici e caratterizzavano le pendici dei monti. Venivano infatti  chiamati “yamasakura”,  dove yama sta per “montagna”, perché qui si trovava questa prima varietà di alberi.

Erano molto importanti perchè  a seconda del momento della fioritura si traevano auspici per il raccolto del riso. Una fioritura che si rinnovava ogni anno nello stesso periodo era di buon auspicio, mentre una fioritura anticipata era interpretata come cattivo augurio.

Il buddismo

Se la narrazione mitologica trova nel ciliegio, il simbolo della loro fragilità e le attività agricole, nella sua fioritura, la misura del tempo, è la pratica meditativa ad aggiungere  a questi alberi, l’elemento trascendentale.

La testimonianza si trova  in alcuni documenti buddisti chiamati Emakimono –  rotoli dipinti che raccontano le fondazioni di templi buddisti in Giappone –  dove si pososno vedere monaci che dalla veranda della residenza dell’abate guardano una pianta di ciliegio in giardino e ne ammirano i fiori.

Il mono aware

La fioritura dei ciliegi è l’occasione per provare il mo no aware, concetto intimamente legato alla visione della natura che anima gli scrittori giapponesi e  perenne riferimento del sentire nazionale. Una precisa sensibilità che sottende a sua volta la capacità di essere toccati dal mondo, il sentirsi coinvolti nelle cose.

Quella che Giorgio Amitrano definisce “il riconoscimento della speciale bellezza dell’effimero“.

Il fiore di ciliegio simboleggia l’aspettativa e la speranza del nuovo, incarna la parabola discendente di ogni creatura e quindi anche la sensibilità del mono no aware ovvero il senso della precarietà delle cose, il gusto dolce-amaro del loro trascorrere. Il godere e l’accettare l’effimero e il passeggero, amare il finito proprio perché finito. È quel misto di gioia e tristezza che si avverte nell’essere consapevoli della natura.

Le parole dei ciliegi

Il giapponese, che non ha il numero nel sostantivo, possiede una sorprendente varietà lessicale.

La si nota particolarmente quando si pone l’obiettivo di amplificare la visione della natura e di spiegarne i dettagli. Esistono parole specifiche per rappresentare questi fiori, per raccontarne sfumature e varietà.

  • yozakura: 夜桜, termine per descrivere la contemplazione notturna nei santuari, nei parchi o nelle vie in cui, in occasione di particolari eventi, gli alberi vengono appositamente illuminati.
  • sakura-fubuki: 桜吹雪 la «tempesta (di neve) di sakura», per raccontare il magico momento in cui i fiori di ciliegio iniziano la loro lieve ma fitta caduta.
  • sakura-ame: 桜雨 la pioggia dei petali, una tormenta che accarezza.
  • shibazakura: ciliegi da prato