Un Bosco per Roma
Un Bosco per Roma: la prima foresta urbana della capitale
Un Bosco per Roma è l’installazione che ha caratterizzato la VII edizione del Festival del Verde e del Paesaggio. La prima foresta urbana della città.
Durante tutto il mese di maggio 2017, questa straordinaria iniziativa ha trasformato la cavea dell’Auditorium Parco della Musica, creando un suggestivo paesaggio naturale ricco di forme, colori e profumi. Oltre centoventi esemplari di alberi autoctoni, simbolo del patrimonio paesaggistico italiano, hanno popolato lo spazio: olmi, ciliegi selvatici, querce, frassini, lecci, sughere e pioppi, accompagnati da arbusti mediterranei quali corbezzoli, phillyrea, cornus, mirti, lentischi, viburni, cornioli e allori, oltre a piccole radure di erba.
Questo progetto di grande impatto simbolico ha anticipato le sfide contemporanee, affidando agli alberi il ruolo di stimolare un dibattito profondo e necessario sulla progettazione del paesaggio urbano, non solo romano. L’obiettivo è creare spazi di aggregazione sociale, contrastare le isole di calore e l’inquinamento, proporre un modello di benessere fisico e psichico che sia sostenibile per le città e i loro abitanti.
Un Bosco per Roma è un’iniziativa del Festival del Verde e del Paesaggio, realizzata grazie alla collaborazione con la Fondazione Musica per Roma. Il progetto è stato ideato da Fabio Di Carlo e Pan Associati di Benedetto e Gaetano Selleri. La realizzazione è stata affidata all’eccellenza vivaistica di Euroambiente Gruppo Zelari e Margheriti Piante. Giro d’Italia, l’intervento di street art che ha accolto i visitatori è stato invece realizzato dagli allievi del Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Schede botaniche

Acero campestre
Acer campestre L.
Fam. Sapindaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa
Etimologia
Il genere, Acer, deriva dal latino acer (duro, penetrante, appuntito, acuto), in allusione alla qualità del legno, usato per la fabbricazione di lance. La specie, campestre, indica che questa essenza cresce spontanea nelle zone di campagna associata ai boschi di latifoglie è un importante costituente delle siepi che delimitano i campi.
Origine
È una specie originaria dell’Europa centrale, a distribuzione europeo-asiatica. In Italia cresce spontaneamente su quasi tutto il territorio (in Sardegna come avventizio).
Note caratteristiche
L’Acero campestre è un arbusto o piccolo albero di 6-12 metri ma può arrivare anche a 20 metri di altezza se lo si lascia crescere senza potature e isolato. È una specie diffusa nei boschi mesofili, nelle macchie spontanee, nelle campagne di pianura, a volte nelle siepi, di solito su suoli calcarei, ma con ampia valenza ecologica, dal livello del mare alla fascia montana inferiore. È una pianta che cresce lentamente e non è molto longeva, raramente supera i 140 anni. Resiste all’inquinamento e alla siccità e sopporta le potature; è una pianta molto rustica impiegata per siepi, molto decorativa soprattutto in autunno grazie alla colorazione, di un giallo intenso, delle foglie in procinto di cadere… Nelle vigne un tempo era usata come tutore vivo della vite, nella classica piantata che ha contraddistinto per secoli il paesaggio della Pianura Padana. La pianta è una buona mellifera e le foglie proteiche sono un ottimo foraggio. Possiede un sistema radicale ramificato che le consente di fissare i substrati mobili: per questo motivo è specie tipica per forestazione in suoli spogli, umidi e nei declivi. Nelle campagne forma piccoli boschi dove crea zone di rifugio per insetti utili, uccelli insettivori, piccoli mammiferi: questo habitat favorisce la biodiversità. Il legno è inizialmente bianco, poi diventa bruno tendente al rosso; è compatto, omogeneo e ha grana fine. Il legname che si ottiene non ha grandi dimensioni e si utilizza per piccoli lavori al tornio. E’ un buon combustibile.
Foglie
Le foglie sono semplici, opposte, dotate di un lungo picciolo (2-7cm) spesso rossastro. La lamina è palmato-lobata e presenta 5 lobi sinuosi, più raramente 3; ha margine intero. La base presenta bordi arrotondati. Le nuove foglie sono rosate; assumono in seguito un colore verde opaco nella pagina superiore; verde più chiaro, per una leggera tomentosità, in quella inferiore. In autunno assumono una bella colorazione giallo-ambrato. Lunghezza 8-10 cm.
Fiori
È un albero con fiori bisessuali riuniti in infiorescenze a corimbo terminali erette, lunghe 6-8 cm. Frequente si presentano fiori unisessuati. Ciascun corimbo è formato da 10 fiori pubescenti. I fiori, giallo-verdognoli, sono presenti assieme alle foglie tra la fine di aprile e gli inizi di maggio. L’impollinazione è prevalentemente entomogama.
Frutti
I frutti, formati da due samare affiancate, le cui ali opposte divergono di 180°, sono portati su infruttescenze penduli. A maturità la disamara si separa nei due distinti frutti che vengono dispersi dal vento.
Tronco e corteccia
Il tronco corto, spesso incurvato, presenta numerose ramificazioni nella parte medio-bassa. I rami sin inseriscono sul tronco formando un angolo acuto. La corteccia liscia, di colore giallo-rosa nei giovani esemplari, diventa bruno-grigia con profonde fessurazioni longitudinali.
Chioma
La chioma è irregolare, fitta, di forma arrotondata. I rami sono numerosi divergenti e, a maturità, nei vecchi esemplari tendono verso l’alto. La specie può presentare anche un portamento arbustivo-cespuglioso con chioma espansa, in questa caso raggiunge un’altezza di pochi metri.
Simbologia e mitologia
Nella mitologia classica, l’Acero era associato al dio della paura, Fobos. L’accostamento probabilmente è dovuto al colore rosso sangue delle foglie in autunno. Virgilio, nell’Eneide, racconta che di travi d’Acero era fatto il cavallo dell’inganno di Troia, mentre Ovidio ha lasciato scritto che era di Acero il trono di Tarquinio Prisco.

Carpino comune
Carpinus betulus L.
Fam. BETULACEAE
Forma biologica: fanerofita scaposa
Etimologia
Il genere, Carpinus, si fa risalire al celtico car ‘legno’, pin ‘testa’: sembra che il legno di questa pianta fosse impiegato per fare i gioghi per il bestiame bovino. Il nome generico era comunque già utilizzato dagli antichi Romani e potrebbe derivare dalla radice sanscrita ‘kar’ (duro) per la durezza del legno. La specie, betulus, allude alla forma delle foglie che ricordano quelle della betulla.
Origine
Il Carpino bianco è un’essenza spontanea dell’emisfero boreale, cresce nelle regioni centro-europee sino all’Asia Minore e al Caucaso. In Italia è diffuso in tutte le regioni esclusa la Valle d’Aosta e le isole, vegeta fino a 1200 metri.
Note caratteristiche
Il carpino bianco è un albero deciduo. Cresce in boschi maturi di latifoglie decidue, su suoli argillosi profondi, molto freschi e umiferi, con optimum nella fascia sub mediterranea. Specie rustica, resiste ai freddi più intensi, alla siccità e all’inquinamento, ha la proprietà di dare polloni al piede della pianta. Il legno, molto duro e resistente ai colpi, è impiegato per costruire bocce, martelli, spazzole, pulegge. Dalla corteccia si ricavano principi tintori usati per colorare in giallo e in bruno le sete, le lane ed il cotone. Le foglie, sia fresche che secche, forniscono un buon foraggio per ovini e suini. È una delle essenze che si presta meglio alla sagomatura e viene potata in svariate forme: a piramide, a colonna, a candelabro. Trattiene per tutto l’inverno le foglie sui rami più bassi, da qui l’utilizzo per barriere frangivento a protezione delle colture ortive, per spalliere e come siepe per i labirinti.
Foglie
Le foglie sono semplici e munite di un breve picciolo di colore rosso. La lamina ha la forma ellittica con apice acuto e base arrotondata. Il margine è doppiamente seghettato. La nervatura a penna è in rilievo e molto evidente. Lunghezza 5-10 cm. Hanno colore verde cupo superiormente, verde più chiaro inferiormente per la presenza di una fine peluria soprattutto in corrispondenza delle nervature.
Fiori
I fiori unisessuali, maschili e femminili, sono portati sulla stessa pianta, ma sono separati fra loro (pianta monoica). Le infiorescenze maschili sono detti amenti, penduli di 5-10 cm di colore giallo. Le infiorescenze femminili sono amenti erette, più brevi con evidenti stimmi rossi che spuntano dalle brattee verdi; si trovano all’apice del rametto. Entrambe le infiorescenze sono munite di un breve peduncolo. Fioritura: febbraio-aprile. Impollinazione anemofila
Frutti
I frutti sono raggruppati in infruttescenze pendule molto decorative (6-15 cm) formate da una piccola noce, achenio, verde con pareti ispessite e solcate. Si trovano all’ascella di una caratteristica brattea a 3 lobi, di cui quello centrale è preminente.
Tronco e corteccia
Il tronco sottile presenta tipiche scanalature esterne. La corteccia, liscia, grigio-bruna con qualche frattura trasversale, ricorda molto quella del faggio.
Chioma
La chioma, non potata, è rotonda e compatta con rami ascendenti inseriti ad angolo acuto sul tronco. I rametti di ultimo ordine sono penduli.
Simbologia/Mitologia
Il carpino bianco è simbolo di vigoria e vitalità.

Ciliegio
Prunus avium L.
Fam. Rosaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa
Etimologia
Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di etimologia incerta (deriva comunque dal greco ‘prunon’, che significa ‘prugna’), quello specifico in latino significa ‘degli uccelli’. Il nome ciliegia o ceresia ha invece origine iraniana (Kirahs, keras) poi in latino ceresia.
Origine
L’areale originario dovrebbe essere il territorio che va dal Caucaso ai Balcani. Allo stato coltivato il ciliegio è comune in tutta Italia sino alla fascia montana inferiore; allo stato subspontaneo è diffuso ma non sempre comune
Note caratteristiche
Il ciliegio è un albero deciduo a rapido accrescimento oggi divenuto subcosmopolita per coltivazione in diverse varietà. Cresce in boschi mesofili maturi soprattutto con Acero montano, Olmo montano, Rovere e talvolta nelle siepi, su suoli argillosi piuttosto profondi e abbastanza ricchi in composti azotati,. E’ una delle latifoglie nobili dei nostri boschi al di sotto della fascia montana; raggiunge i 20-25 m d’altezza ma in condizioni stazionali ottime anche i 30 m.
Pianta non molto longeva 100-150 anni; molto pollonifera e se ceduata ricaccia con vigoria.
Si coltiva per il frutto fresco o da conservare in alcool, come pianta ornamentale, per la ricca fioritura primaverile e per l’aspetto che acquisisce in autunno con l’ingiallimento delle foglie, oppure per il legname. Il legno è duro, a grana uniforme, dalle tonalità calde, bruno-rossicce, e si presta per la costruzione di mobili di pregio e lavori al tornio. Le foglie contengono una sostanza colorante viola.
Foglie
Sono alterne, semplici, penninervie, lunghe 5-15 cm con margine seghettato. Sono di colore verde scuro e glabre sulla pagina superiore, più chiare e inizialmente leggermente pubescenti in quella inferiore. Il picciolo è glabro di 2-4 cm e porta 2 (3) caratteristiche ghiandole rossicce a ridosso del lembo fogliare con funzione di nettari; in autunno le foglie a secondo dell’andamento stagionale, assumono colorazioni molto ornamentali dal giallo oro al rosso cupo.
Fiori
I fiori a 5 petali bianchi, ermafroditi, lungamente peduncolati, sono riuniti in piccoli grappoli di 2-8 elementi. ,la fioritura, in contemporanea con l’apertura delle foglie, avviene normalmente da aprile a maggio. L’impollinazione è entomofila (insetti).
Frutti
I frutti (drupe) maturano un paio di mesi dopo l’impollinazione. Il frutto è globoso, lucido, circa 1 cm, e a maturazione con polpa dolce succosa, edule e di colore rosso cupo, molto ricercato dagli uccelli , ma anche dai mammiferi. Presentano un nocciolo (endocarpo)duro e legnoso che protegge il seme.
Tronco e corteccia
Il tronco è slanciato, ramificato nella parte medio-alta. La corteccia, da giovane è liscia rossastra e grigia, ha fasce orizzontali con numerose lenticelle allungate anch’esse orizzontali; con l’età diviene rosso-bruna scura con grosse lenticelle allungate e appiattite orizzontalmente che spesso si stacca in strisce e placche ad anello.
Chioma
La chioma è piramidale da giovane, piuttosto rada poi, con l’età, più tondeggiante ed espansa;
Simbologia/Mitologia
In Oriente il ciliegio è simbolo della rinascita primaverile e allo stesso tempo della sostanziale transitorietà di ogni esistere. In Giappone si celebra la ‘contemplazione della fioritura’ (hana-mi).

Farnia
Quercus robur L.
Fam. FAGACEAE
Forma biologica: fanerofita scaposa.
Etimologia
Il genere, Quercus, deriva dal celtico kaer quer, ‘bell’albero’. La specie, robur, è parola latina che significa ‘forza, vigore, resistente’ e allude in modo generico alla robustezza della pianta.
Origine
È una delle più diffuse querce europee. Cresce spontanea in Europa centrale coprendo un areale che si estende dalla Scandinavia al Mediterraneo, fino ai 1000 metri. E’presente in tutte le regioni dell’Italia continentale.
Note caratteristiche
L’areale della farnia è assai vasto, sia in latitudine (da 60° latitudine Nord al mare Mediterraneo), sia in longitudine (dalle coste dell’oceano Atlantico alle formazioni montuose degli Urali e del Caucaso). Questo ha portato, nell’ambito della specie, alla differenziazione di più varietà adatte a climi diversi. In Italia era un tempo assai diffusa, sia nei boschi puri sia nelle associazioni miste. È una tipica quercia da pianura, oggi si trova ancora nei residui lembi della “querceto planiziale”, su terreni profondi e molto freschi, con optimum nella fascia submediterranea. È un’essenza rustica caratterizzata da una crescita lenta, in compenso è molto longeva: può vivere fino a 600 anni e oltre. Viene ampiamente utilizzata come essenza forestale, nella formazione di siepi naturali che dividono i coltivi, dove costituisce un’importante zona rifugio per gli organismi utili alla campagna: può ospitare sino a 284 specie di invertebrati! E’ piantata nei parchi e nei giardini che presentano ampi spazi; la varietà fastigiata, che ha il vantaggio di un portamento contenuto con chioma stretta e piramidale e ramificazioni che partono dalla base e sono addossate al tronco, è utilizzata per le alberature stradali. Il suo legname, bruno-scuro con alburno bianco, pesante e durevole, è molto ricercato per la costruzione di mobili, pavimenti. Con il termine ‘rovere di Slavonia’, il legno di farnia è utilizzato per costruire le doghe delle botti destinate all’invecchiamento di vino pregiato e del cognac. Un tempo era molto richiesto per le costruzioni navali. In alcune zone la farnia, può formare micorrize con funghi eduli, soprattutto tartufi. Un tempo le ghiande erano largamente usate per l’alimentazione dei maiali.
Foglie
Le foglie sono semplici, con un brevissimo picciolo (1-5 mm). La lamina è molto varia, generalmente obovata con 4-7 lobi per lato arrotondati, è di solito stretta all’inserzione sul picciolo, poi si allarga. I lobi alla base ricordano la forma di due orecchiette (lunghe 10 cm). Il margine è ondulato. Le foglie inizialmente tenere al tatto, in seguito assumono consistenza coriacea. Colorazione verde intenso nella pagina superiore; glauca e opaca quella inferiore.
Fiori
I fiori sono unisessuali, maschili e femminili, sulla stessa pianta su parti diverse del rametto (pianta monoica). I maschili sono raggruppati in amenti penduli (3-5 cm); quelli femminili sono solitari o in gruppi di 4-5 su un lungo peduncolo, avvolti da brevi squame, si trovano all’estremità del germoglio. Fioritura aprile-maggio, contemporanea alla fogliazione. Impollinazione anemofila
Frutti
I frutti sono delle ghiande ovali (acheni) di dimensione e forma molto variabile. Ogni ghianda è contenuta per meno di un terzo della sua lunghezza in una cupola verde emisferica composta da poche squame embricate. Le ghiande sono di colore bruno con sfumature verdi, presentano evidenti striature longitudinali, riunite a gruppi di 2-3, sono portate da un peduncolo comune di 2-5 cm. Maturano nella stessa annata in cui si sono formate.
Tronco e corteccia
Il tronco è dritto e robusto, con rami pesanti, contorti che si inseriscono ad angolo quasi retto nella parte medio-alta. La corteccia è grigio chiaro, inizialmente liscia, in seguito (verso i 20-30 anni) profondamente fessurata in piccole placche di colore bruno scuro.
Chioma
La forma della chioma varia in funzione dello spazio che la pianta ha a disposizione. Negli individui ‘in solitario’, il tronco, che si ramifica ripetutamente nella parte medio-alta, è sormontato da una chioma larga e irregolare. Pure irregolare è la densità della chioma, che alterna volumi fitti di foglie a volumi molto più radi.
Simbologia/Mitologia
Per le loro qualità e per la loro maestà, le Quercie erano venerate dagli uomini sin dai primordi della civiltà: erano ‘l’Albero’. La Farnia è detta anche Albero di Giove e a lui consacrato. Famosa la quercia di Dodona, nell’Epiro, che costituiva uno dei più importanti ed antichi oracoli della Grecia. Romolo, dopo una vittoria contro i Sabini, appese ai rami di una antica Farnia presente sul Campidoglio le armi del condottiero nemico vinto e tracciò attorno all’albero il perimetro del primo tempio romano dedicato a Giove, dio della quercia, della pioggia e della folgore. Nell’antica Roma, la quercia era simbolo di Vittoria. Delle loro foglie sono fatte le corone civiche e le insegne più illustri del valore militare. Di quercia è uno dei rami che chiude a destra l’emblema della Repubblica italiana, come simbolo di forza e dignità.

Frassino comune
Fraxinus excelsior L.
Fam. Oleaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa.
Etimologia
Il genere, Fraxinus, ha origine incerta. Secondo alcuni deriva dal greco frasso ‘difendo’, ‘assiepo’, perché è una pianta adatta per la costruzione di siepi. La specie, excelsior, comparativo di excelsus, si riferisce all’imponenza di questo albero che raggiunge anche 40 metri di altezza.
Origine
È uno degli alberi più noti delle regioni temperate dell’emisfero boreale, originario dell’Europa e del Caucaso. In Italia è presente in tutti i boschi dal piano fino a 1500 metri di altitudine, salvo che in Basilicata e Calabria (in Sardegna solo come specie avventizia).
Note caratteristiche
Il Frassino riveste una notevole importanza dal punto di vista ecologico e paesaggistico. Ha un areale molto ampio. Si trova nei boschetti in prossimità dei corsi d’acqua, boschi ripariali, dove fissa il terreno grazie a un apparato radicale sviluppato orizzontalmente. È presente nei boschi misti di pianura, di collina e di montagna. Si associa con l’acero, l’olmo e le querce. In alcuni areali montani lo troviamo insieme al faggio o all’abete rosso. È essenza dotata di una rapida crescita ed è longeva: può arrivare a 250 anni. Il legno di frassino è molto pregiato. Ha un bel colore bianco con venature, è elastico e resistente, non forma schegge e non si deforma a contatto con gli agenti atmosferici. Le foreste impiantate per la produzione del legno sono esclusivamente di individui maschili che, non dovendo spendere energia per fruttificare, producono un legno migliore. Quest’ultimo è utilizzato per la costruzione di attrezzi, come manici di rastrelli, martelli, accette, picconi, remi, sci, racchette da tennis, mazze da golf, stecche da biliardo. Trova impiego nella costruzione degli alberi delle imbarcazioni. Si dice che le prime ruote delle automobili fossero di legno di frassino. È una specie molto utilizzata nelle alberature cittadine per la sua eleganza e perché rustica e resistente allo smog. Esistono numerose varietà con fogliame di colore diverso es. argentato, dorato, maculato, rossastro. Molto bella per il portamento è la varietà ‘Pendula’.
Foglie
Le foglie imparipennate sono composte da 9-11 segmenti lanceolati con apice acuto, margine seghettato. La pagina superiore è verde scuro, quella inferiore è verde più chiaro. Le foglie si sviluppano tardivamente, non prima di maggio, e cadono in ottobre: l’albero rimane così spoglio per circa 7 mesi.
Fiori
I fiori sono spesso unisessuali, ma sono presenti anche i bisessuali. I fiori unisessuali possono essere portati sulla stessa pianta (pianta monoica) o su piante diverse (pianta dioica). Compaiono prima delle foglie, sono privi di calice e di corolla. I fiori maschili si riconoscono per il colore rosso-vivo delle antere, quelli femminili sono verdi. Si presentano all’apice del rametto in piccole infiorescenze a pannocchia o a spiga, prima erette poi pendule. Fioritura marzo-aprile. Impollinazione anemofila.
Frutti
I frutti, riuniti in folte e persistenti pannocchie pendule, sono samare di forma ellittica con un’ala disposta nel senso della lunghezza, contenenti un singolo seme in posizione decentrata, posto vicino al peduncolo.
Tronco e corteccia
Il tronco è dritto, slanciato, cilindrico. Non presenta impalcature di rami anche per 20 metri. I rami si inseriscono ad angolo acuto e sono largamente spaziati tra loro. La corteccia, dapprima liscia-olivastra, diventa in seguito grigio-chiara, rugosa con delle caratteristiche fessurazioni “a cratere” alte anche1 cm.
Chioma
La chioma è irregolare, espansa, rada e leggera.
Simbologia/Mitologia
Per i greci era ‘Albero felice’. Lo avevano consacrato a Nemesi e alle ninfe Melìe, nate dal sangue di Urano. Una leggenda cosmogonia scandinava narra di un Frassino particolare e unico (Yggdrasil ), l’albero del destino. Si innalza nel cielo a sorreggere l’universo e i suoi rami si espandono su tutto il mondo. E’ sostenuto da tre radici che si diramano estendendosi in direzioni diverse: la prima negli abissi più profondi; la seconda nella terra dei giganti; la terza nella terra affidata agli uomini.

Leccio
Quercus ilex L.
Fam. Fagaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa (fanerofita cespugliosa).
Etimologia
Il nome generico, già in uso presso gli antichi, sembra ricollegarsi alla radice indoeuropea che il latino condivide con le parole celtiche ‘kaer’ e ‘quer’ (bell’albero), cioè ‘l’albero per eccellenza’, ma anche con analoghi termini greci riferiti alla rudezza del legno delle piante di questo genere; il nome specifico, ilex, forse deriva da una radice celtica che significa ‘punta’ per la frequente presenza nel leccio di foglie sub spinose e ricorda la somiglianza delle foglie con quelle dell’agrifoglio.
Origine
Pianta mediterranea originaria dell’Europa meridionale e del Nord Africa. In Italia è presente allo stato spontaneo in tutte le regioni d’Italia salvo che in Valle d’Aosta, ma molto più abbondante nell’Italia mediterranea. E’ una delle tipiche essenze dei boschi della macchia mediterranea di latifoglie e sclerofille sempreverdi; si può trovare fino a 1000-1200 metri di altitudine.
Note caratteristiche
Il leccio è l’albero mediterraneo per eccellenza. Essenza rustica, è la specie dominante nei residui boschi di sclerofille sempreverdi della macchia mediterranea, su suolo preferibilmente acido; ai margini dell’areale cresce anche nei boschi decidui o in habitat rupestri in siti caldo-aridi, su suoli calcarei primitivi e ricchi in scheletro. E’ una specie a crescita lenta, longeva, vive fino ai 250-300 anni. Nelle regioni a clima temperato il leccio è spesso utilizzato in parchi, giardini ed alberature stradali, soprattutto presso le coste. Il legno ha limitati impieghi artigianali, essendo molto duro e resistente alle alterazioni ma difficile da lavorare e stagionare; viene comunque usato per oggetti sottoposti a forti sollecitazioni e usura, come parti di attrezzi agricoli, pezzi per torchi, presse e imbarcazioni, ecc. Fornisce un ottimo carbone. La scorza, ricca in tannini, è usata per la concia delle pelli. Le ghiande sono impiegate nell’alimentazione dei maiali; un tempo venivano usate anche dall’uomo, torrefatte, come surrogato del caffè.
Foglie
Le foglie sono semplici e persistenti, alterne, con picciolo breve (5-15 mm). La pagina superiore è verde scuro lucido, quella inferiore è bianca, tomentosa. Gli stomi nascosti da tricomi. La lamina fogliare è spessa, coriacea, di forma lanceolata od ovata. Il margine è molto variabile, può essere intero, dentato e persino spinoso. Questa variabilità dipende dall’esposizione alla luce e dal tipo di terreno in cui vegeta la pianta. Negli esemplari a portamento arbustivo si osserva una forte eterofillia: le foglie basali sono dentate e spinose, quelle medio-apicali presentano margine intero.
Fiori
I fiori unisessuali, maschili e femminili, si trovano sulla stessa pianta in parti diverse del rametto (pianta monoica). Quelli maschili si presentano riuniti in infiorescenze ad amento pendule, lunghe 4-6 cm, gli stami di colore giallo; quelli femminili crescono solitari o a coppie, muniti di un breve picciolo; stimmi rossi. Fioritura in aprile-maggio. Impollinazione anemofila
Frutti
I frutti ad achenio sono delle ghiande ovoidali (lunghezza 1-2 cm) con la punta allungata. Le ghiande sono contenute, per circa metà della loro lunghezza, in una “cupula” formata da squame appressate coperte di peli grigi. Il frutto matura in un anno ed è un buon mangime per i suini.
Tronco e corteccia
Il tronco è corto, a volte diviso alla base, contorto e irregolare. Numerose sono le ramificazioni che si inseriscono ad angolo retto sul fusto, spesso dalla base. La corteccia è sottile, nera, ruvida e con l’età si fessura in piccole squame rettangolari.
Chioma
Negli individui a portamento arboreo la chioma è molto fitta, scura, quasi nera, ampia. Forma anche cespugli con portamento arbustivo.
Simbologia/Mitologia
Per le loro qualità e per la loro maestà, le Quercie erano venerate dagli uomini sin dai primordi della civiltà: erano ‘l’Albero’. Sin dall’antichità il lecceto fu considerato bosco sacro e consacrato agli dei, in particolare ad Era. Nella Roma arcaica era considerato un albero oracolare, poiché attirava i fulmini. In un bosco di lecci viveva la ninfa Egeria, ispiratrice di re Numa. Questa sacralità fu ripresa anche dai cristiani tanto che i lecci spesso si trovano in prossimità di chiese e santuari. Si dice che la croce usata per crocifiggere Cristo fosse fatta di legno di questo albero, l’unico che sopportò il sacrificio per contribuire alla redenzione dell’umanità. Ovidio, nell’opera “Le Metamorfosi” descrivendo l’Età dell’Oro, racconta ”…qui scorrevano fiumi di latte, lì fiumi di nettare e biondo miele stillava dal verde leccio…” riferendosi probabilmente alla “melata di Leccio”.

Pioppo bianco
Populus alba L.
Fam. SALICACEAE
Forma biologica: fanerofita scaposa.
Etimologia
Il genere, Populus, di etimologia incerta, era già in uso presso gli antichi Romani. Secondo alcuni autori Populus starebbe per Arbor populi ovvero ‘albero del popolo’. La spiegazione di questa denominazione è forse da ricercare nell’incessante fruscio delle foglie, paragonabile al brusio della folla. Il nome specifico, alba, in latino significa ‘bianco’. Si riferisce alla foglie, bianche e tomentose nella pagina inferiore.
Origine
È una pianta originaria dell’Europa centrale e meridionale, dell’Asia occidentale e centrale e delle regioni africane del bacino mediterraneo. In Italia è diffusa in tutte le regioni nei terreni di pianura, collina e bassa montagna.
Note caratteristiche
Il pioppo bianco è un albero deciduo a vasta distribuzione. È, fra le specie di pioppo indigene, la più esigente in fatto di temperatura, non tollerando il freddo prolungato. Resiste bene ad esposizioni ventose, forse per la ricca tomentosità delle foglie nella pagina inferiore. Vegeta senza problemi lungo le coste marine, dove i venti sono spesso ricchi di salsedine, si sviluppa sulle sabbie, tanto che è considerata una delle specie colonizzatrici delle golene ( terreno compreso entro argine e contrargine di fiumi). Forma boschetti, a volte lungo corsi d’acqua e in aree palustri, su suoli limoso-argillosi profondi e ricchi in basi, a volte periodicamente sommersi, al di sotto della fascia montana inferiore. E’ specie pollonifera, emettendo polloni radicali anche a notevole distanza dal piede (fino a 50 metri) e polloni alla base del tronco quando è prossima alla maturità. Si presenta con magnifici esemplari che possono raggiungere i 30 metri ed è essenza longeva (fino a 300 anni). Il legno è richiesto per la produzione di pasta da carta, fiammiferi, zoccoli, tavolame corrente. La corteccia è ricca di tannino e salicina. È un albero impiegato nelle alberature stradali, nei parchi e giardini come essenza ornamentale per il bel fogliame, la corteccia grigio-verde e i giovani rametti molto chiari.
Foglie
Le foglie sono semplici con un lungo picciolo. Sulla pianta è presente un accentuato eteromorfismo fogliare. Le foglie dei rami più vigorosi e dei polloni sono lobate (3-5 lobi) con il margine dentato, lunghe dai 5 ai 10 cm. Le foglie dei rametti sono ovali o ellittiche, prive di dentellatura e con lobi appena accennati. Tutte le foglie sono dapprima bianche sulle due facce, poi tomentose solo nella pagina inferiore. La pagina superiore è verde intenso lucido.
Fiori
I fiori unisessuali, maschili e femminili, sono su piante differenti (pianta dioica). Gli individui maschili presentano infiorescenze ad amenti cilindrici curvi dapprima rossi poi gialli durante la fioritura (lunghezza 7-8 cm). Gli individui femminili presentano amenti più corti (3-6 cm) e sottili, di colore verde-grigio, pelose, con un peduncolo più lungo rispetto a quelli maschili. Fioritura febbraio-marzo, prima dell’emissione delle foglie. Impollinazione anemofila.
Frutti
I frutti sono riuniti in infruttescenze penduli. Il frutto è una capsula ovale liscia che si apre in due-quattro valve liberando, nei mesi primaverili, numerosi piccolissimi semi provvisti di lunghi peli cotonosi.
Tronco e corteccia
Il tronco è grosso, cilindrico, diritto, ramificato abbondantemente fino dalla base. La corteccia è inizialmente verde chiaro, poi si imbianca e si copre di lenticelle longitudinali rombiche. La parte esterna della corteccia si fessura in placche nere.
Chioma
La chioma non è fitta e risulta leggermente reclinata. Con l’età diventa espansa a causa della ramificazione che si inserisce sul tronco, in alcuni casi, ad angolo acuto con andamento verticale, ed in altri ad angolo retto.
Simbologia/Mitologia
La foglia del pioppo bianco, cupa da un lato e chiarissima dall’altro, ha da sempre rappresentato la vita nella morte, la rivelazione della sopravvivenza.
Il principale mito greco che ci parla del Pioppo racconta la storia di Fetonte, figlio del Sole, che ruba al padre il carro e pretende di guidarlo per le vie dei cieli mettendo a rischio la salute dei mortali. Zeus indignato per la condotta di Fetonte scaglia un fulmine che fa precipitare il giovane nell’Eridano (il nostro Po). Fetonte muore e le sue tre sorelle, inginocchiate lungo le sponde, lo piangono inconsolabili. Il dolore delle tre donne commuove Zeus, che le tramuta in alberi snelli e tremuli, i pioppi appunto, che continuano a stillare lacrime, in forma di resina. Secondo il mito, così ebbe anche origine l’ambra.
In un altro mito ancora si narra che Eracle di ritorno dagli inferi, dopo essere sceso vivo nel Monte Tartaro dove vinse Cerbero, si pose sul capo una corona di foglie di Pioppo bianco, la cui parte esterne venne scurita dalle fiamme mentre quella interna, a contatto con il sudore dell’eroe e con la sua lucentezza, divenne bianca.
Corone d’oro rappresentanti foglie di Pioppo sono state anche rinvenute in sepolture mesopotamiche risalenti al 3000 a.C. a testimoniare che già all’epoca quest’albero era considerato una protezione per i viaggi nell’aldilà.

Pioppo tremolo
Populus tremula L.
Fam. Salicaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa.
Etimologia
Il genere, Populus, di etimologia incerta, era già in uso presso gli antichi Romani. Secondo alcuni autori Populus starebbe per Arbor populi ovvero ‘albero del popolo’. La spiegazione di questa denominazione è forse da ricercare nell’incessante fruscio delle foglie, paragonabile al brusio della folla. Il nome specifico si riferisce al continuo tremolio delle foglie dovuto ai lunghi piccioli fortemente appiattiti perpendicolarmente alla lamina fogliare; sembra che il detto popolare ‘tremare come una foglia‘ nasca proprio dall’osservazione del pioppo tremolo.
Origine
Il pioppo tremolo è un alberello deciduo a vasta distribuzione eurosiberiana presente in tutte le regioni d’Italia.
Note caratteristiche
Il pioppo tremolo raggiunge altezze di 20-25 metri, è un albero con buona capacità pollonifera. E’ diffuso soprattutto in ambiente collinare e montano anche oltre i 1500 m di quota, in ambienti umidi, più raramente in pianura. La copiosa produzione di polloni, che formano nuovi alberi, lo rende un pioniere nella colonizzazione di nuovi terreni, per cui è adatto al consolidamento di pendici franose. Ama la luce ma sopporta anche esposizioni parzialmente ombreggiate. Il legno, da cui si produce un’ottima pasta da carta, è impiegato nella fabbricazione di fiammiferi, compensati e truciolati.
Foglie
Foglie semplici, alterne, rotonde o ovalizzate, margine dentato ad angolo ottuso. La pagina superiore, liscia e di colore verde, si differenzia decisamente da quella inferiore che appare verde-grigiastra e pubescente. Il picciolo è molto lungo(6-7 cm) e tipicamente appiattito.
Fiori
I fiori unisessuali, maschili e femminili, sono su piante differenti (pianta dioica). Gli individui maschili presentano infiorescenze ad amenti cilindrici curvi grigio-rossastri (lunghezza 8-10 cm). Gli individui femminili presentano amenti più lunghi (10-13 cm) di colore verde-rossastri. Fioritura marzo-maggio. Impollinazione anemofila.
Frutti
I frutti sono riuniti in infruttescenze penduli. Il frutto è una capsula ovale liscia che si apre in due-quattro valve liberando, nei mesi primaverili, numerosi piccolissimi semi provvisti di lunghi peli cotonosi.
Tronco e corteccia
Fusto slanciato, corteccia liscia dal caratteristico colore grigio-verde.
Chioma
La chioma globosa si forma ad una certa altezza, mantenendosi raccolta, rada intorno al fusto per lo scarso sviluppo dei rami.
Simbologia/Mitologia
Il principale mito greco che ci parla del Pioppo racconta la storia di Fetonte, figlio del Sole, che ruba al padre il carro e pretende di guidarlo per le vie dei cieli mettendo a rischio la salute dei mortali. Zeus indignato per la condotta di Fetonte scaglia un fulmine che fa precipitare il giovane nell’Eridano (il nostro Po). Fetonte muore e le sue tre sorelle, inginocchiate lungo le sponde, lo piangono inconsolabili. Il dolore delle tre donne commuove Zeus, che le tramuta in alberi snelli e tremuli, i pioppi appunto, che continuano a stillare lacrime, in forma di resina. Secondo il mito, così ebbe anche origine l’ambra.

Roverella
Quercus pubescens Willd.
FAMIGLIA: Fagacee.
Forma biologica: fanerofita scaposa.
Etimologia
Il nome generico, già in uso presso gli antichi, sembra ricollegarsi alla radice indoeuropea che il latino condivide con le parole celtiche ‘kaer’ e ‘quer’ (bell’albero), cioè ‘l’albero per eccellenza’, ma anche con analoghi termini greci riferiti alla rudezza del legno delle piante di questo genere; quello specifico si riferisce alla caratteristica pelosità delle foglie.
Origine
La roverella è un albero dell’Europa meridionale, dell’Asia occidentale e del Caucaso, presente in tutte le regioni d’Italia.
Note caratteristiche
Albero con fogliame semi deciduo perchè le foglie morte rimangono sulla pianta per tutto l‛inverno, raggiunge altezze anche di 20-25 m. E‛ comune negli ambienti collinari e montani inferiori. La roverella è una delle querce caducifoglie attualmente più diffuse nel nostro paese. Nella catena alpina si trova solo sulle pendici più meridionali, submontane, tra 200-800 metri di altitudine, accompagnata da una folla di arbusti e alberelli favoriti dalla luminosità. Predomina invece nella parte peninsulare del nostro paese fino in Calabria, Sicilia e Sardegna, dove forma boschi puri molto estesi. Più spesso si trova però associata con cerri, carpini neri, aceri e ornielli a formare i cosiddetti boschi “mediterraneo-montani”, che rappresentano una zona di transizione tra la fascia mediterranea e quella submediterranea. Si può confondere con la farnia, con la quale si ibrida molto spesso, ma le foglie della farnia sono pressoché sessili e con due orecchiette alla base mentre quella della roverella sono mediamente più piccole e con base cuneata. Anche le ghiande sono diverse, sessili nella roverella, con lungo picciolo nella farnia.
La ghianda di roverella è stata tradizionalmente usata per l‛alimentazione dei suini; querceti da ghianda sono ancora diffusi nella maremma toscana e nel meridione. Del resto, la paleontologia ci ha indicato che le ghiande erano mangiate dagli uomini primitivi e secondo la storia, furono utilizzate come cibo in tempo di guerre e di carestie e come surrogato del caffè.
Per la sua frugalità, la roverella viene spesso usata nei rimboschimenti delle pendici calcaree, mediante semina diretta.
Il legno duro e resistente all‛acqua, è utilizzato per costruzioni navali, traversine ferroviarie e strumenti agricoli.
L’infuso della corteccia e dei giovani rami era utilizzato nella medicina tradizionale come astringente e febbrifugo.
Foglie
Le foglie sono alterne, di forma ovato allungata, coriacee; il margine è diviso in 5-7 paia di lobi interi o sublobati. Il picciolo è breve (8-12 cm), pubescente, come la pagina inferiore delle foglie più giovani, poi più o meno glabrescente. La defogliazione è tardiva, invernale. Quando la foglia è matura la pagina superiore è glabra di colore verde scuro.
Fiori
I fiori sono monoici, portati separati sulla stessa pianta. Quelli maschili sono riuniti in amenti cilindrici, lassi e penduli, con antere di colore verde-giallastro (5 cm) e fioriscono prima di quelli femminili che sono singoli o in gruppi di 2/4, sessili o brevemente peduncolati, all’ascella delle foglie dei nuovi getti.
La fioritura avviene nel periodo Aprile-Maggio. Impollinazione anemofila.
Frutti
Il frutto ad achenio (ghianda) ha un aspetto allungato di circa 2 cm ed è protetta fino a quasi metà da una cupola a squame appressate, regolari, non molto rilevate, di aspetto legnoso.
Tronco e corteccia
Tronco eretto, sinuoso con corteccia grigio scura, rotta in tante piccole squame irregolari; rami giovani ricoperti da un denso feltro di peli biancastri.
Chioma
Chioma piramidale, globosa emisferica negli esemplari adulti, di colore verde- grigiastro. Spesso assume il portamento cespuglioso che benissimo caratterizza l’ambiente povero e degradato nel quale suole vivere.
Simbologia/Mitologia
Per le loro qualità e per la loro maestà, le Quercie erano venerate dagli uomini sin dai primordi della civiltà: erano ‘l’Albero’. Le foreste più belle consacrate alle divinità e per questo intangibili. Anche le Ninfe e le Driadi, racconta Callimano, sono nate dalle Quercie. Nell’antica Roma, la quercia era simbolo di Vittoria. Delle loro foglie sono fatte le corone civiche e le insegne più illustri del valore militare. Di quercia è uno dei rami che chiude a destra l’emblema della Repubblica italiana, come simbolo di forza e dignità.

Salice bianco
Salix alba L.
Fam. Salicaceae
Forma biologica: fanerofita scaposa
Etimologia
Il genere, Salix, è denominazione già in uso presso i romani. Si pensa che derivi dal celtico sal lis, ‘presso l’acqua’. Il salice è infatti un’ essenza “riparia” che cresce lungo le rive dei fiumi ed ama terreni umidi e acquitrinosi. La specie, alba, evidenzia il colore delle foglie bianco argenteo nella pagina inferiore.
Origine
L’areale di origine è estremamente vasto, si estende dall’Europa all’Africa meridionale spingendosi fino alle regioni settentrionali dell’Asia. In Italia è diffuso ovunque dal piano a 1000 metri di altitudine.
Note caratteristiche
Il Salice bianco è un albero deciduo diffuso in tutta Italia, assume dimensioni notevoli, fino a 30 metri di altezza e diametro di un metro. Cresce soprattutto lungo i corsi d’acqua, in aree subumide, presso laghetti e lungo canali, dove forma dei boschetti puri o misti associandosi spesso col pioppo nero. Predilige suoli da argillosi a fangosi periodicamente inondati, ricchi in basi e composti azotati. È un’essenza importante dal punto di vista forestale in quanto serve a consolidare i terreni incoerenti e le scarpate. Il Salice bianco viene anche chiamato “salice da pertiche” poiché nelle campagne c’era l’abitudine di sottoporlo ogni 2-3 anni al taglio del tronco ad altezza d’uomo, “a capitozza”, così da ottenere rami sottili e flessibili, di diametro variabile, usati per pali o per legare le piantine di vite. Il legno è fragile, non di buona qualità, viene utilizzato per fare zoccoli, doghe e scranni. La corteccia di molte specie di Salici e, in particolar modo del S. alba e S. purpurea, contiene tannino e un glucoside, la salicina, con la quale un tempo si otteneva l’acido salicilico che è il composto di base dell’aspirina. Con le foglie si tingeva la lana di giallo. Come tutti i salici, è molto tollerante nei confronti dei vento e dell’inquinamento atmosferico.
Foglie
Le foglie verde-grigio sono semplici, penninervie, alterne. La lamina è stretta e appuntita, affusolata alla base e all’apice (lunga circa 10 cm), il margine è finemente seghettato. Hanno un breve picciolo. Le giovani foglie sono coperte di fitti peli sericei su tutte e due le pagine, quelle adulte sono bianco-grigiastra solo sulla pagina inferiore per la presenza di una fitta peluria.
Fiori
I fiori unisessuali, maschili e femminili, si trovano su piante diverse (pianta dioica) e maturano nello stesso periodo. Sono riuniti in infiorescenze amentiformi: quelle maschili sono più dense (4-6 cm), erette e di colore giallo, quelle femminili sono più corte e di colore verde. Sono presenti dei nettari. Fioritura marzo-aprile, contemporanea alle foglie. Impollinazione entomofila.
Frutti
Il frutto è una capsula glabra che contiene numerosi semi con un ciuffo di peli cotonosi. Sono riuniti in infruttescenze penduli di colore verde.
Tronco e corteccia
Il tronco, robusto, si presenta spesso suddiviso a partire dal livello del suolo. La corteccia è profondamente solcata con squame di colore bruno-grigio negli individui adulti.
Chioma
La chioma è rada ed espansa con un diametro, in alcuni casi, di 10 metri. Le ramificazioni hanno andamento verticale, si inseriscono ad angolo acuto e si espandono all’apice.
Simbologia/Mitologia
La mitologia classica riferisce che Zeus ed Era furono da Rea partoriti sotto un salice e tra questi rami venisse nascosta la culla per impedire che il padre Crono li scorgesse e divorasse.
Il salice bianco era dedicato alla dea Iside, la maggiore divinità dell’antico Egitto.
Le schede sono a cura del dr. Stefano Valente, Orto Botanico di Roma Tor Vergata.
Le foto sono del Portale della Flora di Roma, Università degli Studi di Trieste. http://dryades.units.it/Roma