Chi si accosta per la prima al mondo naturale attraverso lo studio, le letture, l’esperienza nel verde, quando ha l’opportunità di approfondire il suo rapporto sente la necessità di attraversare quel muro invisibile che separa la teoria dalla pratica e immergersi nel verde.

Ciò può accadere in tanti modi. Uno di questi è il giardinaggio.

Quando un po’ di terra penetra nel corpo – scriveva Karl Capek – provoca una specie di intossicazione o infiammazione e in breve una persona diventa giardiniere entusiasta.

Certo anche veder fiorire la pianta del vicino potrebbe destare la passione e per contagio far nascere tanti giardinieri.

Se poi aggiungiamo che diverte, fa bene, ci tiene in forma, comprendiamo il suo essere popolare, del popolo in quanto collettività. In Italia, secondo dati recenti, è praticato dal 40% degli italiani.

C’è però anche un altro aspetto, forse il più importante, a renderlo così meravigliosamente pop … e a che fare con un verbo.

Il giardinaggio è quell’attività che permette di “popolare” gli spazi, rendendoli vivi. Trasforma un luogo inabitato in comunità di viventi, rendendolo casa e poi città.

Considerarlo come un atto di connessione con la natura, oltre al semplice acquisto di pacchetti di semi, piante e fiori, porterà a scoprire che il mondo intero è un giardino da abitare e rendere abitale, in cui giocare, divertirsi, condividere e vivere insieme.

È una mentalità. Si tratta di apprezzare e comprendere la natura, osservare il cambio delle stagioni, mentre si aiuta e si ammira l’arrivo di insetti, impollinatori, uccelli e animali selvatici.

In passato non sempre abbiamo pensato al nostro giardino come a una riserva naturale per sostenere piante e animali. Questo è però il ruolo dei paesaggi costruiti ora e nel prossimo futuro.

O cosiderato la biodiversità come qualcosa che abita felicemente nei nostri spazi, ma piuttosto da qualche parte “là fuori nella natura”. Nel nostro parco, bosco, riserva naturale.

Non abbiamo percepito abbastanza la velocità con cui le specie stanno scomparendo dai nostri quartieri, dalle nostre città.

Forse perché non ci è stato insegnato abbastanza, quanto fosse vitale per il nostro benessere e per la nostra sopravvivenza. In fondo se non sappiamo riconoscere un rondone come possiamo preoccuparci se l’anno dopo non torna ?

Tutti i nostri spazi esterni – terrazzi, balconi, davanzali, cortili, giardini – tutti i luoghi in cui viviamo possono e devono contribuire ai nostri ecosistemi locali e sostenere la produzione degli ecosistemi essenziali.

E allora progettiamoli come fossero luoghi “ricchi di significato ecologico”, come “riserve della Biosfera”, come quelle aree verdi riconosciute dall’Unesco, dove l’uomo vive in connessione con la natura e si sperimentano strategie di sviluppo sostenibile.

Questo vuol dire prestare attenzione

  • alla funzione prima dell’estetica
  • al modo in cui le piante sono state coltivate e prodotte
  • al cambiamento climatico e alle sue conseguenze
  • all’impatto umano
  • alla sopravvivenza di insetti, impollinatori e animali.

Solo così potremo creare habitat naturali vitali per tutti i viventi.

La responsabilità di “amministrare” bene la Terra e la cura dei suoi ecosistemi dipende da ognuno di noi.

E non serve un giardino per farlo: dagli spazi domestici alle aiuole della città, dagli orti comunitari agli orti e ai parchi urbani, chiunque può trovare il suo posto.

«Che il giardino entri e non si arresti davanti alle porte!» Bernard Rudofsky